Il peso giuridico della parola virtuale
Preambolo
Un pomeriggio qualsiasi sei su una chat di gruppo tra colleghi su Whatsapp e all’improvviso un po’ per scherzo, un po’ per stizza, un po’ perchè in fondo se lo meritava, ti capita di scrivere una frase poco carina nei confronti di un altro utente. Nessuno degli altri componenti della chat esprimere commenti in merito, ma tu ti accorgi che il destinatario della suddetta frase potrebbe essere seccato da quanto scritto e quindi ti affretti a chiedergli scusa per l’infelice uscita e la questione termina lì. O almeno così credi.
Invece, qualche tempo dopo ricevi una lettera raccomandata con una richiesta di risarcimento per presunti danni da lesione dell’onore e della reputazione che la predetta frase avrebbe arrecato.
La lettura di questa missiva ti sconvolge: ho scritto davvero qualcosa di così grave? ho offeso? il mio comportamento ha conseguenze giuridiche? sono tenuto a risarcire il danno provocato? come si quantifica il danno? come mi devo muovere ora? QUID IURIS?
Analisi normativa e giurisprudenziale
Nell’era di internet, dei social network e delle piattaforme telematiche sembra che le possibilità di arrecare offese a qualcuno si siano ampliate in modo esponenziale a causa dell’iperconnessione tra le persone che rende tutto più facile e veloce, anche offendere altri senza, a volte, nemmeno rendersene conto.
Infatti, siamo ormai così abituati a comunicare con uno schermo, che spesso dimentichiamo che dietro di esso ci siano individui in carne e ossa e che le parole che rivolgiamo loro non scompaiono quando noi spegniamo l’apparecchio, ma rimangono impresse nella memoria dei nostri interlocutori, ma anche e soprattutto nella memoria del web e per questo possiamo sempre essere chiamati a risponderne.
Questo nuovo orizzonte delle comunicazioni virtuali e telematiche con tutte le sue peculiarità, privo di specifica regolamentazione, difficilmente si adatta alle “classiche” fattispecie previste dal nostro Ordinamento e rende necessario, pertanto, un inquadramento giuridico di esse che tenga conto dei loro caratteri distintivi.
Tale questione ha interessato e investito la giurisprudenza italiana negli ultimi anni, la quale, attraverso alcune significative pronunce in merito, ha iniziato a delineare una disciplina organica della materia.
In particolare, sotto il profilo penale “tradizionale”, un’offesa può delineare due diverse fattispecie giuridiche, a seconda delle modalità e del contesto in cui viene esternata: l’ingiuria o la diffamazione.
Entrando più nello specifico, la diffamazione è l’offesa pronunciata davanti a più persone (almeno due), in assenza della vittima. Questa, quindi, non è posta in condizione di interloquire con l’offensore e di percepire immediatamente e direttamente le frasi ingiuriose. Ciò costituisce ipotesi di reato, sanzionabile con la reclusione fino a un anno e una multa che ammonta a 1.059,00 euro.
L’ingiuria, invece, è rivolta direttamente alla vittima, in un colloquio a due, a prescindere dal fatto che ad assistere possano esserci anche altre persone. L’offeso, quindi, percepisce in prima persona le parole a sé rivolte. Tale condotta è stata depenalizzata nel 2016. Pertanto, attualmente, in questo caso l’offeso può far valere il proprio diritto solo in sede civile, ottenendo il risarcimento per gli eventuali danni con una sanzione da euro 200,00 a euro 12.000,00.
L’ipotesi in cui casi del genere si verificano nel contesto di un gruppo di utenti su Whatsapp – o su altri similari sistemi di messaggistica con chat di gruppo – rappresenta spesso un caso intermedio, “a metà strada” tra ingiuria e diffamazione, poiché è vero che la persona offesa è fra i partecipanti al gruppo, ma non sempre è “connessa” nel momento in cui le parole offensive vengono pronunciate.
Sul punto si è espressa la Cassazione Penale in due occasioni (Cass. Pen. n.7904/2019 e Cass. Pen. sent. n.10905/2020) fornendo il proprio orientamento al riguardo.
Dall’analisi di queste pronunce appare chiaro che si configura un’ipotesi di diffamazione quando l’espressione offensiva venga esternata alla presenza degli altri partecipanti al gruppo virtuale, ma in un momento in cui il diretto interessato dell’offesa sia “disconnesso” e si renda conto solo in un secondo momento delle parole rivoltegli. In tal caso, infatti, “l’assenza” dell’offeso e l’estemporaneità della frase offensiva determina una configurazione più grave della fattispecie, perseguibile penalmente.
Situazione diversa, invece, è quella in cui l’offesa venga esternata direttamente alla persona destinataria di essa nell’ambito di una discussione “virtuale” tra i due interlocutori. In questo caso la presenza contestuale della persona offesa determina che tale fattispecie sia inclusa tra le ipotesi di INGIURIA. Se poi in questo stesso “spazio” vi fosse anche la presenza di altri utenti, allora il tipo di ingiuria sarebbe qualificata come AGGRAVATA. L’ambito in cui potrà rientrare una situazione del genere sarà comunque solo quello civile.
Inoltre, in questo ambito, tali tipi di offese potrebbero costituire fattispecie di “danno alla reputazione” o di “lesione dell’onore”, ipotesi in cui l’eventuale danno causato è di tipo non patrimoniale, poichè è legato ad una conseguenza lesiva che non ha comportato diminuzioni economico-patrimoniali dirette, ma che ha inciso su diritti costituzionalmente protetti.
Orbene, poichè il danno è di tipo non patrimoniale, esso viene definito ed integra una ipotesi di danno conseguenza, cioè da verificare e accertare. Ciò significa che al danneggiato non basterà limitarsi a sostenere che qualcuno abbia leso la propria reputazione, dovendo invece provare il pregiudizio subito.
Il diritto alla reputazione personale riguarda la sfera intima di un determinato soggetto ed ha a che fare con l’onore e il prestigio che tale persona porta con sè. Pertanto, in un’eventuale valutazione del danno non patrimoniale da parte del Giudice, egli dovrà tener conto di una serie di criteri come, ad esempio, la carica pubblica o il ruolo professionale della persona danneggiata, le conseguenze sulla sua professione o sulla sua vita, la natura del fatto che le è stato attribuito: in poche parole si dovrà accertare se e in che misura si siano verificate delle ripercussioni sulla vita del presunto danneggiato.
In passato si riteneva che una volta provata l’esistenza del fatto lesivo non fosse necessaria anche la prova del danno. L’orientamento giurisprudenziale attuale e ormai consolidato, però, appare diverso: la sussistenza del danno deve essere oggetto di allegazione e prova e la sua liquidazione deve essere compiuta dal giudice sulla base, non di valutazioni astratte ma del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e provato.
Infine, per dovere di completezza occorre chiarire che in ambito lavorativo è contemplata un’autonoma e più circoscritta fattispecie, ovvero il “danno alla reputazione professionale”. Esso ha riguardo alla perdita della fiducia e della stima da parte delle persone con cui la persona entra in contatto o interagisce nel suo ambiente di lavoro.
Conclusioni
Da questa breve disamina sulle diverse conseguenze giuridiche che, a seconda delle circostanze, un’offesa pronunciata su un gruppo di whatsapp potrebbe comportare, è opportuno trarre la conclusione che occorre prestare massima attenzione alle espressioni utilizzate in questi contesti, poiché parole espresse con leggerezza, nella convinzione che vadano perse nel mondo virtuale del web, possono, invece, avere conseguenze dal punto di vista giuridico anche molto rilevanti, se ledono i diritti delle persone che ne sono destinatarie!
Avv. Vittorio De Rosas, Dr.ssa Alessia Forcella