La tutela per i militari di marina che hanno contratto patologie a seguito di esposizione all’amianto
Preambolo
Le particolari proprietà ignifughe e coibentanti dell’amianto hanno reso questo pericoloso materiale particolarmente utile nella realizzazione di diverse componenti della motoristica navale, in particolare per la realizzazione di locali a tenuta stagna e per le guaine di copertura delle componenti incandescenti dei motori.
Le norme
Legge n. 257 del 1992; art.2087 c.c.
La questione
Prima della sua messa al bando con la legge n. 257 del 1992, moltissime imbarcazioni operative della Marina Militare – in particolare quelle la cui costruzione era avvenuta a partire dagli anni Cinquanta – presentavano una altissima concentrazione di amianto, esponendo il personale militare di bordo ad altissimi rischi per la salute. Soprattutto il personale addetto alla manutenzione dello scafo e della componentistica dei motori (come, ad esempio, i motoristi navali) entrava quotidianamente a contatto con le polveri di asbesto, in quanto la loro attività consisteva in larga parte nella rimozione di guaine di coibentazione sgretolate per l’uso e nella lavorazione delle stesse.
Tali attività, nonostante determinassero un’altissima dispersione di polveri (è sufficiente pensare, infatti, che per procedere alla rimozione spesso era necessario segare le guaine preesistenti) e nonostante la pericolosità delle polveri di asbesto fosse nota sin dagli anni Quaranta, il personale della Marina Militare operava in condizione di scarsissima sicurezza.
Tale sovraesposizione alle polveri di asbesto ha determinato in moltissimi soggetti l’insorgere di patologie a carico dell’apparato respiratorio, spesso con esito anche letale.
Per il personale militare è stato previsto, a fronte di tale gravissima compromissione della salute dei soggetti chiamati a operare in così rischiose condizioni, non solo il riconoscimento del c.d. equo indennizzo, ma anche la possibilità di richiedere il riconoscimento dello status di Vittima del Dovere, in ragione della connessione causale tra il servizio prestato alle dipendenze della Marina Militare e l’insorgenza di patologie c.d. asbesto correlate.
La circostanza che siano stati previsti tali rimedi specifici non esclude, tuttavia, per il personale militare che ha sviluppato tali patologie, la possibilità di adire l’Autorità Giudiziaria per il riconoscimento di un risarcimento del danno dovuto alla lesione del diritto alla salute nei confronti del Ministero della Difesa, in virtù del disposto di cui all’art. 2087 c.c.
La giurisprudenza ormai costante, sia amministrativa che ordinaria, è ormai solidissima nell’affermare che la responsabilità della P.A. datrice di lavoro per la mancata adozione delle misure idonee a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori, qualora non siano rinvenibili specifiche norme di legge, discende dalla norma di ordine generale di cui all’art. 2087 c.c., la quale impone all’imprenditore l’obbligo di adottare nell’esercizio dell’impresa tutte quelle misure che, secondo la particolarità del lavoro in concreto svolto dai dipendenti, si rendano necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori.
Assume particolare importanza, in relazione alla definizione degli oneri in capo a Ministero della Difesa in termini di tutela della salute del personale militare alle sue dipendenze, l’arco temporale nel quale è stato svolto il servizio, nonché le mansioni svolte dai singoli militari. È infatti innegabile che, in punto di nesso di causalità, è certamente più alta l’incidenza dovuta a tale sovraesposizione nei soggetti chiamati ad operare direttamente su materiali contenenti asbesto rispetto a soggetti esposti a dosi più basse di tale materiale.
In definitiva, la tutela che il nostro ordinamento garantisce ai militari della Marina che abbiano sviluppato, in dipendenza del proprio servizio, patologie asbesto correlate opera su tre diversi binari, di natura essenzialmente risarcitoria e indennitaria: il riconoscimento dell’equo indennizzo, dello status di Vittime del Dovere e il risarcimento del danno ordinario.







