Eurobond o utilizzo del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES): la bagarre che mina la tenuta dell’Unione Europea
L’emergenza sanitaria mondiale in atto scaturita dal noto SARS-CoV-2 (nuovo Coronavirus), poi sfociata in Pandemia globale, ha (ri)portato alla luce alcuni dibattiti in seno alle istituzioni europee circa la possibilità, per gli Stati membri, di far fronte alle proprie esigenze economiche tramite il famigerato ricorso al debito.
Questa espressione, in realtà, cela dietro di sé diverse sfumature, in quanto molti sono gli argomenti che dovranno necessariamente essere spiegati, seppur brevemente.
In primo luogo, allo scrivente sembra opportuno introdurre e spiegare brevemente un accordo cardine, frutto di un’intesa fra gli Stati membri dell’Unione e fatto proprio dall’ordinamento dell’UE, quale il “Patto di Stabilità e Crescita” (PSC).
L’accordo appena menzionato è stato raggiunto nel 1997 dai Paesi membri dell’Unione Europea e riguarda il controllo delle rispettive politiche di bilancio pubbliche e il mantenimento dei requisiti di adesione alla moneta unica (1992, trattato di Maastricht).
Con questo patto, i Paesi si impegnano a mantenere il rapporto deficit / PIL al 3%.
Per questo motivo, uno Stato che spende più di quanto incassa deve necessariamente incrementare il proprio debito pubblico per fare spesa e dunque, agendo in deficit.
Perché, dunque, si può parlare di bagarre?
La ragione va trovata nello scontro (ormai, a tratti, epico) tra i Paesi del Nord Europa (i.e. Olanda, Germania e Finlandia in testa) ed i Paesi del Sud Europa; ma non solo (v. Lussemburgo), in quanto gli ultimi chiederebbero, in questa situazione di emergenza, di allargare le maglie (giuridiche, ma soprattutto economiche) del “Patto di stabilità” per poter spendere denaro pubblico in deficit senza alcun limite. Intesa che, in questa occasione, è stata raggiunta.
I Paesi del nord, al contrario, da sempre restii nel concedere troppa flessibilità agli stati membri con bilanci (già) in crisi, vedrebbero nel Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) il solo strumento idoneo a fronteggiare la crisi attuale, considerando la già concessa flessibilità sul PSC.
Il MES (altresì detto Fondo Salva Stati) è un’organizzazione istituita dalle modifiche al Trattato di Lisbona (art. 136) e dal Consiglio Europeo (istituzione che racchiude i Capi di Stato o di Governo degli Stati membri), avente come obiettivo quello di sostenere uno o più Stati membri in caso di grave crisi economica mediante l’emissione prestiti (concessi a tassi fissi o variabili) per assicurare assistenza finanziaria ai Paesi in difficoltà a condizioni molto severe.
Tali condizioni “possono spaziare da un programma di correzioni macroeconomiche al rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite” (art. 12).
Inoltre, possibili interventi sanzionatori potranno essere attuati per gli Stati che non dovessero rispettare le scadenze di restituzione i cui proventi andranno ad aggiungersi allo stesso MES il cui “portafoglio” è composto, si ricorda, dai contributi degli Stati aderenti all’organizzazione medesima (l’Italia è attualmente il terzo contributore netto con il 17,9131% e EUR 1.253.959 miliardi di capitale sottoscritto).
Gli Stati del Nord Europa ritengono infatti che, considerando la natura per cui è stato creato, cioè fronteggiare situazioni di emergenza finanziaria, il MES possa far fronte alla situazione di crisi (soprattutto degli stati del Sud Europa) elargendo prestiti alle condizioni del MES stesso senza ricorrere ad ulteriore debito, dunque, senza l’emissione di Eurobond come richiesto dai Paesi del Sud.
Gli Eurobond sarebbero, in buona sostanza, dei titoli di Stato comunitari (sotto forma di obbligazioni) emessi dalla BEI (Banca Europea per gli Investimenti, con sede in Lussemburgo) o da altri istituti di credito, utili a redistribuire il debito sotteso all’emissione delle obbligazioni comunitarie fra i membri UE.
Dunque, un meccanismo di solidarietà che permetterebbe di fronteggiare la crisi di liquidità sotto un’unica bandiera (quella dell’Unione) che è stato prontamente respinto dalle economie più stabili dell’Eurozona, tra cui quella olandese, tedesca e finlandese.
La ragione di tale scontro va trovata nel timore dei paesi nordici di doversi fare carico del successivo risanamento debito in quanto economie più stabili.
L’Europa si trova dunque in una fase di stallo che sicuramente non agevola un dialogo proficuo fra le parti: da una parte le pretese (legittime?) dei Paesi che chiedono più flessibilità e regole diverse sul MES, dall’altra i Paesi da sempre più attenti ai bilanci pubblici che premono per un rispetto delle regole senza ulteriori sconti (oltre al già garantito, dalla Commissione UE, sforamento del PSC), i quali fondano le proprie ragioni proprio sul continuo rispetto da parte loro delle regole precostituite e che si interrogano sul perché altri Stati membri del calibro dell’Italia non abbiano a riserva fondi sufficienti per fronteggiare la crisi.
Come sempre, la questione non è di facile risoluzione.
Occorrerebbe, forse, un punto di incontro tra le parti che miri a solidificare l’unità fra gli Stati a seguito di questa crisi? O, forse, sarebbe più opportuno continuare a rispettare le regole già in vigore senza ulteriori concessioni?
Come è comprensibile, queste sono due fra le possibili domande da porsi.
“In medio stat virtus”, si dice.
Perché , dunque, non mirare ad esempio ad una condivisione degli Eurobond fra gli stati membri con garanzie certe in merito alla redistribuzione del debito, considerando magari la contribuzione netta di ogni stato membro al bilancio dell’Unione Europea come criterio di ripartizione finale del debito?
A voi lettori le risposte!