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Danni punitivi: ammissibili anche in Italia?

Avv. Vittorio De Rosas

Danni punitivi: ammissibili anche in Italia?

La svolta delle Sezioni Unite

I danni punitivi non rientrano tra gli istituti autoctoni. Sennonché, per un verso gli studiosi da tempo si interrogano sull’opportunità di introdurre la figura in questione, o una sua variante, anche nell’ordinamento nazionale; per altro verso, in alcune circostanze ai giudici italiani è stato chiesto il riconoscimento di sentenze straniere che avevano condannato il responsabile al pagamento di somme liquidate all’indicato titolo o comunque prima facie superiori all’entità del pregiudizio stimato. Nelle prime due occasioni in cui era stata sollecitata a occuparsi di tale problematica, in relazione a pronunce statunitensi, la Cassazione aveva opposto un vero e proprio sbarramento. La questione è approdata dinanzi alle Sezioni Unite che, con la sentenza 5 luglio 2017, n. 16601, hanno sconfessato l’indirizzo precedentemente in voga, escludendo la sussistenza di un’assoluta incomunicabilità tra l’ordinamento interno e l’istituto di origine nordamericana dei risarcimenti punitivi.

Le ricadute nella prospettiva internazionalprivatistica

Qualche anno addietro, la Suprema Corte aveva ammesso che le astreintes previste in altri ordinamenti –ossia quelle misure stabilite dal giudice con l’intento di attuare, mediante il pagamento di una somma crescente con il protrarsi dell’inadempimento, una pressione per propiziare l’adempimento di obblighi non coercibili in forma specifica– sono compatibili con l’ordine pubblico, evidenziando come si rinvengano nell’ordinamento statale analoghe previsioni, generali e speciali. Nel caso dei danni punitivi possono tutt’al più individuarsi specifiche previsioni interne che mettono capo al versamento di importi più che compensativi. Nondimeno, la lettura evolutiva della nozione di ordine pubblico, quale limite all’applicazione delle regole giuridiche d’oltreconfine, ha consentito alle Sezioni Unite di sgomberare ormai il campo da ogni aprioristica preclusione al riconoscimento una sentenza straniera che contenga una statuizione di condanna del convenuto a pagare, in favore del danneggiato, somme non proporzionate al pregiudizio effettivamente subìto. L’apertura non è tuttavia indiscriminata. Il riconoscimento viene in modo esplicito subordinato alla condizione che, nel sistema giurisdizionale di origine, la sentenza sia stata resa su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, nonché la prevedibilità e i limiti quantitativi della stessa.

Le ricadute sul piano interno

Per quanto riguarda le controversie puramente interne, va tenuto presente che la menzionata sentenza 5 luglio 2017, n. 16601, ha posto l’accento sul fatto che nel variegato mosaico della responsabilità civile non possono dirsi estranee la funzione sanzionatoria e quella di deterrenza. Il che appare suscettibile di avere un impatto di ampio respiro, non soltanto sul versante teorico, ma anche sul piano pratico, nella misura in cui dovrebbe indurre a una rimeditazione di talune regole operative che dichiaratamente si sorreggevano sul principio dell’integrale riparazione del danno, nel quale è insito il ripudio delle anzidette funzioni. Tuttavia ciò non significa che, al momento, si possa ipotizzare una generalizzata attribuzione in capo ai giudici investiti delle cause di responsabilità civile del potere di imprimere una “curvatura” sanzionatoria alle condanne di quanti sono riconosciuti responsabili. Le Sezioni Unite hanno infatti puntualizzato che la connotazione punitiva del rimedio civilistico deve comunque passare per l’opera di “intermediazione” del legislatore. In mancanza di un’idonea base legale, non sembra dunque consentito spingersi al di là dell’ammontare ritenuto congruo per compensare il pregiudizio subito.


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