Ristrutturazione dell’immobile e le norme di sicurezza sul lavoro.
Il caso e l’insegnamento: Il committente di lavori di ristrutturazione del proprio immobile può essere penalmente responsabile per eventuali incidenti occorsi durante la loro esecuzione, se non verifica l’idoneità dell’impresa appaltatrice allo svolgimento degli stessi e se non verifica l’adozione da parte di quest’ultima delle disposizioni in materia di salute e di sicurezza sul lavoro.
Una recente sentenza della Sezione IV della Corte di Cassazione penale, la n. 55180 del 29 dicembre 2016, suona come una sirena per quei proprietari che, per effettuare degli interventi edilizi nel proprio appartamento, decidono di servirsi di imprese senza aver prima effettuato una verifica della loro idoneità a svolgere i lavori appaltati e senza aver poi controllato che le stesse abbiano adottato le disposizioni in materia di salute e di sicurezza sul lavoro durante l’esecuzione degli stessi. Il committente, ha tenuto infatti a precisare la Corte suprema in tale sentenza, anche nel caso dell’affidamento dei lavori ad un’unica impresa, è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l’infortunio occorso ad un lavoratore della ditta appaltatrice e ciò sia per la scelta dell’impresa stessa, essendo il committente tenuto agli obblighi di verifica imposti dalle norme di salute e sicurezza sui cantieri edili, sia nel caso di un omesso controllo sull’adozione, da parte dell’appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori
Il caso di cui si è occupato la suprema Corte, e per il quale il committente ha fatto ricorso alla stessa, ha riguardato un infortunio mortale occorso a un lavoratore di una ditta alla quale il proprietario dell’appartamento aveva affidato i lavori, nel corso dei quali, in occasione della rimozione di alcuni pannelli solari collocati sul tetto dell’immobile, il dipendente era precipitato da un’altezza di oltre otto metri, riportando lesioni personali gravissime, a cui era seguito il decesso.
Al proprietario dell’appartamento, ritenuto responsabile -quale committente- del reato di omicidio colposo, era stata contestata una condotta improntata a negligenza e imperizia nonché una violazione della normativa in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro per avere omesso, in particolare, di verificare l’idoneità tecnico professionale della ditta affidataria, nei confronti del cui datore di lavoro si era proceduto separatamente, per non avere redatto un piano operativo di sicurezza e per avere omesso di adottare, per l’esecuzione dei lavori effettuati sulla copertura dell’edificio, adeguate impalcature atte ad eliminare i pericoli di caduta delle persone.
Il caso è pervenuto alla Corte di Cassazione dopo le sentenze di condanna del committente sia in primo che in secondo grado. Se il committente, hanno osservato i giudici, avesse richiesto l’esibizione della documentazione prevista dalla legge, avrebbe facilmente accertato che la ditta appaltatrice agiva in spregio delle norme in materia di prevenzione degli infortuni e se avesse controllato i lavori avrebbe facilmente osservato che l’impresa appaltatrice non aveva adottato alcuna regola a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, tanto che i lavori stessi venivano eseguiti senza alcun presidio di protezione. Ad aggravare la posizione del proprietario dell’appartamento ha contribuito la circostanza che lo stesso era consapevole della situazione di pericolosità in cui lavoravano gli operai per averne avuta una immediata percezione data la sua costante ingerenza nello svolgimento dei lavori e la sua assidua presenza in cantiere.
La Corte di Cassazione, in definitiva, nel rigettare il ricorso presentato, ha confermata la sentenza che il Tribunale e la Corte di Appello avevano inflitta al proprietario dell’appartamento. Una lezione da imparare.







