+39 080 5227462    +39 080 2142163
segreteria.slr@didiritto.it

Legittimità del licenziamento disciplinare

Avv. Liana Barracane

Legittimità del licenziamento disciplinare

L’onere di provare la legittimità del licenziamento fondato su un addebito disciplinare cade a carico del datore di lavoro, ben potendosi il lavoratore limitare ad impugnare tempestivamente il recesso. Sicchè è la parte datoriale che deve introdurre in giudizio elementi di fatto a fondamento della giusta causa. Tribunale di Bari sent. n.5649 del 2017

 

In tema di immediatezza della contestazione disciplinare da parte del datore di lavoro ai fini della legittimità del licenziamento intimato al lavoratore, per la valutazione della tempestività, assume rilevanza il lasso temporale decorrente dall’avvenuta conoscenza dei fatti da parte del datore di lavoro e non dall’astratta conoscibilità degli stessi (Cassazione civile sez. lav.  26 marzo 2018 n. 7424 )

Per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario e la cui prova incombe sul datore di lavoro, occorre valutare da un lato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare; la valutazione della gravità dell’infrazione e della sua idoneità ad integrare giusta causa di licenziamento si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato. (Tribunale Velletri, sez. I, 06/03/2018,  n. 357) L’operazione valutativa compiuta dal giudice di merito nell’applicare clausole generali come quella dell’art. 2119 c.c., che, in tema di licenziamento per giusta causa, detta una tipica “norma elastica”, non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità, sotto il profilo della correttezza del metodo seguito nell’applicazione della clausola generale, poiché l’operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi desumibili dall’ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali, e dalla disciplina particolare (anche collettiva) in cui la concreta fattispecie si colloca. In particolare, è censurabile il metodo applicativo seguito dal giudice di merito, se egli abbia trascurato i principi costituzionali che impongono un bilanciamento dell’interesse del lavoratore, protetto dall’art. 4 cost., con quello dell’impresa datrice di lavoro, tutelato dall’art. 41 cost. – bilanciamento che in materia di licenziamento disciplinare si riassume nel criterio, dettato dall’art. 2106 c.c., della proporzionalità della sanzione disciplinare all’infrazione contestata – e, analogamente, se, in relazione all’esigenza di conformazione agli ulteriori “standard” valutativi rinvenibili, oltre che nella disciplina collettiva, anche nella coscienza sociale (con esclusione comunque di quelli fondati su vaghi criteri moralistici o politici), abbia dato acritico rilievo alla astratta qualificabilità come reati di determinati comportamenti, senza la necessaria considerazione degli elementi soggettivi e della concreta incidenza pregiudizievole sulla sfera del datore di lavoro. (Cassazione civile sez. lav.  22 aprile 2000 n. 52


Leave a Reply