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Quando il processo dura troppo

Avv. Liana Barracane
Processo

Quando il processo dura troppo

Equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo

ex. art. 3 del D.L. 22.06.2012, convertito in L. 07.08.2012 e s.s.

Da una valutazione complessiva del procedimento emerge che si sono svolte innumerevoli udienze, con rinvii costantemente lunghi?
Tali rinvii non sono imputabili al comportamento delle parti?
Se non ci fossero stati i disservizi e le manchevolezze dell’apparato giudiziario, la causa de quo avrebbe tranquillamente potuto concludersi entro tre anni dal suo inizio per il primo grado e due anni per l’appello, secondo la Direttiva della Comunità Europea: appare evidente la fondatezza del ricorso per il risarcimento danni, in virtù della violazione dell’art. 2 della Legge n. 89/2001.

a) Lesione del diritto alla ragionevole durata del processo

Invero, l’eccessiva durata del procedimento lede il diritto del cittadino ad ottenere una pronuncia nei termini ragionevoli previsti dalla legge.
A tal proposito, si ribadisce quanto ormai è stabilito dal D.L. 22.06.2012, convertito nella L. n. 134/12, e cioè che la durata ragionevole del processo deve essere calcolata in anni 3 per il primo grado, in anni 2 per il secondo e in anni 1 per ciascuna fase successiva, prevedendo, in particolare, che “nell’accertare la violazione, il giudice considera la complessità del caso e, in relazione alla stessa, il comportamento delle parti e del Giudice del procedimento, nonché quello di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o, comunque, a contribuire alla sua definizione”.
È indubbio che il presupposto giustificativo dell’equa riparazione va ravvisato nella conclamata, generale inadeguatezza del sistema giudiziario italiano a far fronte al carico di lavoro di cui è investito.

L’art. 175 c.p.c. impone comunque al Giudice istruttore di esercitare tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento, e l’art. 81 disp. att. c.p.c. stabilisce che i rinvii da un’udienza all’altra non dovrebbero superare i 15 gg., a meno che non vi siano delle giustificate
esigenze.

Per completezza, si rileva che anche le cause complesse e quelle in cui le parti abbiano tenuto un comportamento dilatorio soggiacciono alla norma che ne impone la definizione in tempo ragionevole, in quanto, secondo un principio enunciato dalle Sezioni Unite, il Giudice deve far fronte alla complessità del caso con un più risoluto e incisivo impegno, ed al comportamento defatigatorio delle parti con l’attivazione dei rimedi all’uopo previsti dal codice di rito civile ( Cass. Civ. n. 8600/2005; Cass. SS. UU., N. 1338/2004).

b) Conseguenze pregiudizievoli

É di tutta evidenza che la pendenza del giudizio provochi danni patrimoniali e non: sia con riferimento alle spese di lite per le quali il deducente ha dovuto accantonare ed immobilizzare per molti anni delle somme di denaro in attesa della definizione del giudizio, sia nello stress e nel patema d’animo subiti. Dovrà, pertanto, essere risarcito anche il danno non patrimoniale sofferto poiché non vi è dubbio che la lunga attesa della definizione di un giudizio determini nell’interessato stanchezza, sfiducia nella Giustizia e più in generale nelle istituzioni, senso di impotenza e quindi in definitiva uno stato d’animo negativo, che è suscettibile di ristoro in termini di danno morale.

c) Sul quantum

In merito alla quantificazione del danno non patrimoniale causato dalla violazione dei termini ragionevoli di durata del processo, la normativa citata identifica in una somma variabile tra € 400,00 e € 800,00 annui o per frazione di anno superiore ai 6 mesi, il parametro da utilizzarsi quale base del calcolo di detto danno complessivamente considerato.